Bruno Cora', 1999

“MICCIA”
di Bruno Corà
Suppongo che l’invito che mi è stato rivolto sia motivato dal fatto che l’azione dell’arte sul territorio, richieda accorgimenti non solo di tutela ma qualcosa di più.
Il ripristino d’opere come la Cappella di San Michele Arcangelo, in un territorio come quello che la circonda, pieno di segni d’arte, ma anche di segni naturali è cosa molto significativa e importante.
In questo senso però suppongo che l’invito rivoltomi servisse per riferire anche su un’esperienza compiuta qualche anno fa con artisti contemporanei, e che essa abbia potuto costruire un precedente che fa sì che io oggi ne parli.¬
Gli artisti contemporanei concepiscono l'intervento su opere d'arte preesistenti, sulla natura o su quanto li circonda come qualcosa d'estrema importanza per loro, soprattutto in relazione all'arte stessa che li ha preceduti.
Riferirò dunque di un’iniziativa da me denominata “miccia” durata circa un’anno.
La nomenclatura "miccia" l'arte diviene ciò che è", è piuttosto enigmatica ma la spiego immediatamente; il termine “miccia” che tutti conoscono, è qualche cosa che allude all’ elemento d'accensione che dovrebbe, camminando, trovare un deposito di polveri, d'energia dunque, che porta ad una deflagrazione.
Questa iniziativa, eravamo nella prima metà degli anni 90, era sopravvenuta a causa di un diffuso malessere che si avvertiva nell'ambiente artistico contemporaneo, in seguito a problemi riguardanti, crisi ricorrenti, più o meno fondate o inautentiche, e nella impossibilità stessa di realizzare opere, e fare il proprio mestiere dal punto di vista dell’arte.
Uno sorta di sfiducia, d'abbattimento, si era introdotto nell'ambiente artistico tale che si assisteva nello stesso momento alla fuga di vari autori dell'azione artistica, verso una situazione di cambiamento, verso un senso generale di malessere diffuso, proprio come nei momenti di crisi.
Il cosiddetto sistema dell'arte contemporanea era fortemente pregiudicato e rischiava di collassare.
Sotto tale concetto, infatti taluno era solito riunire tutta quanta la gamma degli operatori individuati per definire questo sistema. E cioè gli artisti, i critici, i mercanti, i conservatori, i musei, i collezionisti, i cronisti e i redattori di giornale e riviste. Insomma tutte le figure a vario titolo impegnate nell’arte e concepite quasi alla stregua di un ingranaggio in modo tale che ognuno faccia la propria parte nel far girare il sistema.
In quel momento di crisi a me sembrò invece molto evidente che l'attore principale di questo supposto sistema, fosse ovviamente l'artista e se si faceva riferimento alla impossibilità di interruzione della sua azione creativa, allora si poteva comprendere che questo sistema in realtà non era in crisi, perché gli artisti continuavano o pensare e lavorare, ma che in realtà era in crisi quella stessa concezione sistematica, assolutamente infondata e distorta rispetto ai termini reali della situazione che governa l’arte.
Fu così che io stesso decisi di tuffarmi… nella mischia e a tal proposito preparai e feci una conferenza riguardante questa identità di protagonismo creativo che è propria dell'artista.
In quel momento stesso, scattò in modo automatico una sorta di volontà dimostratasi rivolta a rendere evidente che effettivamente quella vitalità esisteva. L'azione artistica era integra e bastava offrire delle circostanze perché si manifestasse.
Questa prima "miccia", che consisteva in una semplice conferenza nella quale io facevo delle dichiarazioni e assumevo delle responsabilità individuali, in quanto autore per quello che poteva essere il mio ruolo di scrittore, suscitò interesse. Quell’atto contaminò come effettivamente una vera e propria "miccia" e accese una volontà di risposta da parte degli artisti.
In modo assolutamente spontaneo, di settimana in settimana, di mese in mese per un intero anno arrivarono al mio indirizzo una serie d'avvisi, più che proposte, degli artisti che avrebbero agito qui, là, altrove, sul territorio nazionale, non solo toscano o umbro dove in quel momento operavo ma ovunque. A vari livelli, in modo assolutamente autonomo, gli artisti si erano dati appuntamento e avevano progettato e realizzato opere sul territorio autogestendo tali interventi. Talvolta in luoghi obsoleti, dimenticati che invece che invece da quel momento venivano recuperati riscattati, tutelati e conservati per offrirli all’attenzione nuova di un pubblico interessato all’arte.
E così, per esempio, ricordo che per primo, Jannis Kounellis ci diede un appuntamento a Mercatello sul Metauro per una mostra di opere allestite attorno ad un piccolo cimitero abbandonato nella campagna. In un territorio agricolo quasi dimenticato, in mezzo al grano altissimo, in quella piccola realtà religiosa e civile del piccolo cimitero...Ci saranno state quindici tombe abbandonate, veniva improvvisamente risegnalata attraverso un'esposizione di opere che evocavano una prigionia e un credo interno, attorno al muro di cinta esterno di quel luogo insolito per una mostra.
Vi assicuro che quella contaminazione fu notevole, tant'è che un mese dopo alle cave del passo del Furlo, anch'esse luogo di successive escavazioni, prima etrusca, poi romana e poi rinascimentale, vi fu un'altra grande performance realizzata come una scultura da Eliseo Matteacci. Nel frattempo anche Bizhan Bassiri aveva fatto una “miccia” vicino a Lecce a Casarau e poi ancora Paolo Icaro in una torre abbandonata nell'entroterra del territorio di Gravare.
Poi, dedicando l'intervento a un aspetto naturale che è l'alveo di un fiume e quindi a tutto quello che è paesaggio o foresta fluviale, l'artista Evelien La Sud, realizzò dei vasi di terracotta con all'interno delle rose dei venti fatte in rame e dei palloncini sonda con sopra eliocopie con le impronte delle mani che indicavano i quattro punti cardinali, che venivano abbandonate alla corrente e quindi deliberatamente perdute anziché conservate come opere, ma oggi recuperate dalla nostra memoria. E così altri artisti, per circa un anno, continuarono ad attuare la opere con questa presa di coscienza sul territorio italiano.
Questa volontà fu evidente riappropriazione, non solo della propria libertà di ideazione e di creazione ma anche di riscoperta di luoghi sempre vivi che respirano con noi.
Ne più ne meno di una magnifica cupola, che avevo visto solo in riproduzione fotografica ma che oggi ho potuto visitare. Ho visto nel libro di Belli, come questa cupola nasce con una pianta geometrica ottagonale, e poi volga al cerchio e poi i rettangoli della sua facciata diventano unghie, spicchi, spicchi triangolari, insomma questa metamorfosi geometrica sopravvenuta per un’architettura del genere e come tutto questo, avendo subito angherie, oggi richieda, invochi attraverso la nostra attenzione e sensibilità una tutela e un rinnovato intervento progettuale che come vedo è già in atto.
La mia vuole essere una testimonianza , che afferma quanto sia giusto restituire agli artisti la concezione di un ripristino di un'opera di questo genere.
Il rapporto con il territorio, dal punto di vista dell'arte contemporanea, è un rapporto che si è rifondato e trova grande sensibilità e interesse da parte degli artisti che non sono come potrebbe sembrare legati solamente alla vanità dei grandi rapporti internazionali.
Sono invece molti, moltissimi di nuovo gli artisti che si radicano in realtà territoriali, di cui intendono contribuire alla bonifica. Credo quindi che vada, tenuto conto del loro possibile contributo dato che essi appartengono all'antica famiglia dell'arte e dell'artigianato, cioè di coloro che hanno messo mano fisicamente alle cose, con una sensibilità che non è solo legata a quella del bene che deve essere ripristinato, ma all'insieme dell'organismo che lo circondo e quando dico all'insieme, dico anche alla storia di qualsiasi organismo territoriale e culturale che lo circonda. Credo allora che questa cupola, Semifonte e le vicende politiche dell'epoca, il problema delle guerre e delle battaglie, faccia parte integrale della storia di un luogo, nel bene e nel male, che l'abbia segnata. Credo che questo silenzio delle popolazioni, questo silenzio dei segni della natura e di tante altre manifestazioni che circondano i beni, sia un dato significativo.
Noi abbiamo una responsabilità: l'Arte di questo secolo si è misurata essenzialmente con qualche cosa che è invisibile e spesso anche indicibile a parole, però il segno artistico contemporaneo ha grande importanza perché è l'unico veicolo che serve a dare voce proprio a ciò che in realtà spesso voce non ha.

Cfr. "La cupola di San Michele Arcangelo progetti per Semifonte", 1999, ed.Aida, Firenze, Bruno Corà pp.49-52.
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